Per il bene dell’Occidente Assange non deve essere estradato negli USA

Julian Assange agli arresti
LONDON, ENGLAND – APRIL 11: Julian Assange gestures to the media from a police vehicle on his arrival at Westminster Magistrates court on April 11, 2019 in London, England. After weeks of speculation Wikileaks founder Julian Assange was arrested by Scotland Yard Police Officers inside the Ecuadorian Embassy in Central London this morning. Ecuador’s President, Lenin Moreno, withdrew Assange’s Asylum after seven years citing repeated violations to international conventions. (Photo by Jack Taylor/Getty Images)

La drammatica irruzione delle forze di sicurezza britanniche nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove da diversi anni era rifugiato l’attivista Julian Assange, ha scosso e polarizzato l’opinione pubblica mondiale. Personalmente ho sempre avuto dubbi sul modo di agire di Assange, che ha dato alle volte l’impressione che un nobile fine giustifichi mezzi discutibili, per esempio quando ha messo nei guai il povero Bradley Manning (oggi Chelsea Manning), che acconsentì nel 2010 a far filtrare informazioni riservate del Pentagono sulla guerra in Iraq con la collaborazione di Wikileaks. Nel nostro caso specifichiamo bene che i mezzi (moralmente) discutibili non sono rivelare al mondo le vergogne del potere e gli abusi dei governi, che è l’obiettivo sacrosanto del giornalismo di inchiesta, ma mettere nei guai qualcun altro (la propria fonte) per ottenere questo risultato.

Manning si è rivelato una persona fragile e con problemi, che ha deciso in carcere, dov’era accusata di alto tradimento (poi graziata da Obama, oggi di nuovo in carcere per essersi rifiutata di testimoniare contro Assange) di cambiare sesso: si immagini che periodo difficile possa avere passato l’ex soldato Manning in queste condizioni. Si potrebbe anche obiettare che Manning si è rivelata in realtà una persona molto forte: capace non solo di reagire con carattere alle accuse del governo americano, e dimostrando di essere pienamente cosciente delle sue decisioni e quindi di essere un’attivista a pieno titolo; ma pure di rivendicare la propria nuova identità sessuale mentre stava in un carcere di massima sicurezza sottoposta di fatto a torture fisiche e psicologiche. Sta di fatto che io al posto di Assange non avrei chiesto a Manning di avere quelle informazioni senza essere perfettamente certo che non avrei messo nei guai il mio informatore. Si tratta di riserve morali. Penso però che nessuno possa mettere in dubbio che dallo scandalo Watergate a oggi la fuoriuscita di informazioni riservate che documentano l’abuso del potere sia stato un passaggio fondamentale nella storia della democrazia occidentale, che hanno contribuito a rafforzarla e migliorarla.

Vediamo le accuse formali contro Assange. L’attivista informatico e fondatore di Wikileaks è accusato formalmente da una corte federale americana (della West Virginia) di avere sottratto illegalmente, o tentato di sottrarre, una password militare, in collaborazione con il sopra citato soldato Manning (allora analista militare di stanza in Iraq). Come fa notare l’ex giornalista di Report Paolo Barnard sul suo profilo Twitter è una accusa insidiosa a cui gli avvocati di Assange dovranno ingegnarsi a rispondere.

Però per quanto sia insidiosa l’accusa di cospirazione per aver sottratto una password militare, occorre ricordare che proprio nel periodo del Watergate, furono pubblicate rivelazioni assai più importanti dello scandaletto inerente i traffici illegali del presidente Nixon per essere rieletto, come i “Pentagon papers”: rivelazioni sulla guerra nel Vietnam che furono rilasciate da Daniel Ellsberg (importante accademico e al tempo collaboratore del Pentagono sul progetto segreto) e pubblicate dal New York Times e dal Washington Post. Ellsberg fu scagionato da tutte le accuse di cospirazione e tradimento e non fu perseguito e le pubblicazioni e gli studi sul caso continuarono in nome della libertà di infomazione. Un caso del tutto analogo a quello delle rivelazioni di Manning/Assange sulla guerra in Iraq che dimostra come siano pretestuose le accuse contro Assange.

Ma quello che fa scattare il vero campanello di allarme e la preoccupazione sono le accuse che vengono rivolte a livello politico e mediatico ad Assange e che riguardano sostanzialmente la sua lealtà verso l’Occidente. Qui l’accusa, e siamo alla follia, è di intelligenza col nemico. Quali che siano le opinioni di Assange sulla Russia di Putin, che non siamo obbligati a condividere, ciò rappresenta una accusa, mi ripeto, completamente folle e pericolosa per tutti noi.

Vediamo il perché.

Ne parla l’opinionista Nathan Robinson sul Guardian: “Many Democrats and liberals are cheering Assange’s arrest. That’s foolish “. Some have argued that Assange isn’t under attack for ‘journalism,’ but for ‘activism.’ That’s a troubling logic to fall for. Plenty of liberals and mainstream journalists are inexplicably cheering for Assange to be punished.

Cioè riassumendo: “un sacco di liberal e di giornalisti mainstream sono inesplicabilmente euforici per l’arresto di Assange e fanno il tifo per la sua punizione”.

Valutazioni che quando vengono da convinti o sedicenti liberal o democratici, o progressisti, destano viva preoccupazione per la libertà di stampa e per lo stato in cui versa la nostra cara democrazia liberale.

Assange viene sostanzialmente accusato di avere sempre fatto rivelazioni che avrebbero danneggiato il campo occidentale, gli Usa, la Nato, e mai altrettante rivelazioni di ugual peso riguardanti i nemici, la Russia e la Cina. E viene attaccato per questo con toni e modi velenosi. Ora è chiaro a chiunque sia sano di mente e che tenga ai valori democratici dell’occidente, che accuse di questo tipo, qualunque cosa si pensi di Assange, sono un attacco diretto contro l’occidente e i suoi valori nella loro forma più pura: un segare, per odio di fazione, il ramo della civiltà giuridica su cui si è seduti, della propria cultura fondata sul pensiero critico e che si ritiene essere, proprio per questa capacità di auto-emendarsi e di mettere in discussione il potere costituito, una civiltà superiore e per questo legittimamente alla guida del mondo.

E’ del tutto ovvio che un giornalista del mondo occidentale (Assange è cittadino australiano e quindi a tutti gli effetti è addirittura ancora suddito di Sua Maestà Elisabetta II) confidi che la radicale critica al suo mondo di riferimento, alle sue storture e malefatte, serva a migliorarlo e a preservarne quelli che sono gli storici anticorpi.

Ed è altrettanto chiaro che qualunque giornalista sano di mente venisse in possesso di rivelazioni atte a colpire la Russia o la Cina non le farebbe uscire sic et simpliciter per il semplice fatto che questi paesi sono ancora non pienamente democratici, o per nulla democratici, e che quindi l’uscita di queste eventuali rivelazioni potrebbe avere ricadute incontrollabili, per esempio causare guerre regionali o mondiali, per esempio con esodi di massa e con conseguenze ingovernabili anche sull’immigrazione, e mettere a rischio la pace mondiale.

Fino ad oggi abbiamo ritenuto che, al contrario, ciò che caratterizza l’occidente è proprio la sua capacità di auto-emendarsi tramite il pensiero critico e la capacità di uscire rinnovato dalle crisi. E quindi tutti pensiamo ormai che il giornalismo debba essere il “cane da guardia” del potere. E ce lo hanno insegnato proprio gli americani. Non la pensa evidentemente così il cittadino russo né il contadino cinese, se non per piccole minoranze che non sarebbero certo aiutate da turbolenze indotte dall’esterno: ma anzi i dissidenti in questi casi fanno sempre una brutta fine essendo visti come traditori (esattamente la logica che si vuole usare contro Assange da parte di un occidente incarognito e nemico di sé stesso). Quindi determinate accuse, quando mosse da liberal e da democratici, nei confronti di Assange, hanno del folle e del paradossale. Assange è un radicale, è un anarchico, ha metodi forse discutibili, non è simpatico e magari è pure incarognito verso i suoi nemici, ma è sempre un uomo occidentale che crede che la libertà di stampa sia una faro di verità che immunizza la società civile dalla tentazione di rivolgersi a uomini della provvidenza simili a quegli autocrati orientali tanto (giustamente) detestati da chi vede in Assange una minaccia anziché un uomo di talento che, se pur fra contraddizioni, svolge il suo lavoro in modo brillante a beneficio della libertà.

Dunque se c’è il “fumus persecutionis” (ed è evidente che ci sia visto il clima di falsità e vendetta che c’è intorno ad Assange) e visto lo stato di prostrazione psico-fisica del personaggio evidente dalle ultime foto e testimonianze, ci sono i margini per negare l’estradizione. Sarebbe un atto ben poco “sovrano “ da parte del Regno Unito consegnare Assange agli Stati Uniti senza preoccuparsi della sorte in stile Guantanamo che potrebbero riservargli gli Stati Uniti attuali (come affermato da Varoufakis) e del fatto che sia processato in modo equo, senza subire maltrattamenti fisici o psicologici in carceri di massima sicurezza o peggio.

Va anche notato che se uno stato vuole avere dei segreti (addirittura la superpotenza per antonomasia, gli USA) deve anche essere in grado di proteggerli. Tanto più che la guerra in Iraq era illegale. Fare la figura barbina di farseli sottrarre e lamentarsene francamente non è degno di una superpotenza. Ora si capisce che per non cadere totalmente nel ridicolo gli USA chiedano l’estradizione di Assange. Ma sarebbe davvero estremamente preoccupante se il Regno Unito fosse così poco indipendente (dopo essere addirittura uscito dalla UE reclamando la sua sovranità) da accordarla.

Per questo è doveroso discutere della possibilità di garantire ad Assange asilo politico, proprio in nome dei valori occidentali, a meno che non si voglia lasciare a Putin (che ha già dato ospitalità a Snowden) la bandiera della difesa della libertà di stampa. L’Italia è un paese troppo fragile nello scacchiere mondiale ma l’Inghilterra e la Francia (che ha dato senza motivo asilo politico ai peggiori brigatisti italiani scambiandoli per eroi o partigiani) farebbero bene a pensarci seriamente. Ed è veramente scandaloso che il suo paese di origine, l’Australia, non faccia nulla. Qualcuno non ci crederà, ma ne va della sopravvivenza stessa dell’Occidente. Fra i politici il leader laburista Corbyn si è gia opposto all’estradizione e il leader della sinistra francese Melenchon ha proposto che sia la Francia a dargli asilo politico. Macron, che ha problemi strutturali di credibilità interni ed esterni, ci pensi. Rivelare dei segreti di stato su abusi compiuti dai nostri governi comporta dei rischi per chi lo fa ma non legittima la possibilità per un governo del mondo libero di perseguire legalmente quel tal giornalista, che si chiami Assange o in qualsiasi altro modo o che sia giornalista professionista iscritto a un albo o meno o un semplice attivista.

Filippo Boatti

1 maggio 2019